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FAQ


Chi è soggetto al Decreto Legislativo 626/94?

Il Co.Co.Co. rientra nella computazione del numero dei lavoratori?
Il Medico Competente - quante visite nei luoghi di lavoro?
Quando i lavoratori sono volontari?
Nuovo decreto sul lavoro notturno a quali attività si applica?
Nuovo decreto sul lavoro notturno ... quante sono le ore di lavoro?
Nuovo decreto sul lavoro notturno ... il numero di ore di lavoro è fisso?
Nuovo decreto sul lavoro notturno ... chi stabilisce l'idoneità del lavoratore?
Nuovo decreto sul lavoro notturno ... quali sono i criteri per stabilire l'idoneità del lavoratore?
Un indumento di lavoro è considerato dispositivo di protezione individuale?
A chi spettano pulizia e manutenzione dell'indumento di lavoro?
Pulizia del DPI interna o esterna all'Azienda?
Il MUD (Modello Unico di Dichiarazione Ambientale), quando?

Chi è soggetto al Decreto Legislativo 626/94?
Il campo di applicazione all’art. 1 del suddetto decreto sancisce che sono soggette al D.Lgs 626/94 tutte le attività lavorative sia private che pubbliche. Si fa un’unica eccezione, ossia il lavoratore autonomo cioè colui che in forma giuridica è una ditta individuale e non ha né soci, né dipendenti, né coadiuvanti ecc.; ne consegue che nel momento in cui questo lavoratore autonomo assume o costituisce una società, o si avvale dell’aiuto di un apprendista rientra automaticamente nelle categorie soggette. Si ricorda che il D.Lgs 626 equipara a “lavoratori” tutte queste categorie (art 2):

  • Soci lavoratori di cooperative e società:
  • Utenti dei servizi di orientamento e di formazione scolastica;
  • Praticanti avviati presso studi professionali;
  • Allievi di istituti nei quali si faccia uso di laboratori ecc.
  • Coadiuvanti
  • Apprendisti.


L’unica categoria di personale lavorante non conteggiata è l’addetto ai servizi domestici e familiari (per esempio baby sitter o colf).

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Il Co.Co.Co. rientra nella computazione del numero dei lavoratori?
Esiste un circolare ministeriale che sancisce la “non computabilità” del numero di addetti con “Contratto di Collaborazione Continuativa” al fine di determinare il numero effettivo di lavoratori come visti nel D.Lgs 626/94. Tuttavia anche questi dati vanno valutati tenendo conto dell’effettivo numero di ore contrattuali di questi soggetti, in quanto di fatto tutte le persone con contratto di Co.Co.Co. lavorano sotto la responsabilità del datore di lavoro, in egual misura ai lavoratori dipendenti, soci di cooperative e prestatori d’opera ecc. Quindi il consiglio è, a scanso di equivoci, di computare tali figure in tutte le loro forme.

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Il Medico Competente - quante visite nei luoghi di lavoro?
L’art. 17 del D.Lgs. 626/94 prevede, ogni anno, due sopralluoghi congiunti del Medico Competente con il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione; lo stesso articolo di legge al comma 1 lettera h indica comunque la possibilità di riduzione del numero di sopralluoghi per le piccole e medie imprese, come sarà meglio specificato dal DM 16.1.97, che all’art. 1 stabilisce la periodicità annuale anziché semestrale per le aziende elencate in Allegato 1 del D.Lgs. 626/94 (elenco aziende per le quali è possibile che il datore di lavoro svolga anche la funzione di responsabile servizio prevenzione e protezione). Per le stesse aziende nelle quali il numero di dipendenti sia superiore a quello previsto dall’Allegato 1 (es. per aziende industriali con numero di dipendenti superiore a 30 oppure altre tipologie con numero di dipendenti superiore a 200) è comunque possibile (DM 16.1.97 art. 2) ridurre la frequenza di visita da semestrale ad annuale in presenza di una valutazione congiunta del datore di lavoro, responsabile servizio prevenzione e protezione, rappresentanti lavoratori per la sicurezza, medico competente, da custodire presso l’azienda o unità produttiva. Tale periodicità dovrà essere modificata nel caso in cui si ritenga variata la condizione di rischio valutata precedentemente. E' necessario che la valutazione rimanga agli atti e sia a disposizione per eventuale consultazione da parte degli Organi di Controllo competenti.

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Quando i lavoratori sono volontari?
Ove il lavoro venga svolto da volontari, ad esempio negli enti adibiti per statuto ad attività di primo soccorso, trasporto infermi, protezione civile, l’applicazione della normativa sulla sicurezza e l’igiene nei luoghi di lavoro (il cui caposaldo è rappresentato dal D.Lgs. 626/94) viene applicata in maniera differenziata. Esistono alcune difficoltà interpretative, parzialmente risolte dall’emanazione per lo più di circolari interpretative successive al decreto di cui sopra. Val la pena di puntualizzare quanto segue: la normativa si applica ove siano presenti “lavoratori”, come indicati nel campo di applicazione stabilito dal D.Lgs. 626 successivamente modificato dal D.Lgs. 242. Per le prescrizioni che derivano specificatamente dal numero di addetti dell’azienda o unità lavorativa, i volontari non sono equiparati a dipendenti, ai sensi della circolare 154/96. Questo significa che:
  

  • il documento di valutazione è richiesto per le unità con presenza di meno di dieci addetti;

  
  • in ogni caso è necessario elaborare una autocertificazione per iscritto, da tenere a disposizione per controlli;

  
  • se sono presenti meno di 15 dipendenti, non è fissata la periodicità annuale della riunione di prevenzione e protezione, ma viene stabilita secondo necessità ed in base alle richieste dell’RLS;

  
  • l’RLS è uno ogni 200 dipendenti (a meno di specifici accordi) con incarico triennale;

  
  • il medico competente può svolgere un solo sopralluogo congiunto con l’RSPP all’anno, ove siano presenti meno di 200 dipendenti ovvero anche con numero di dipendenti maggiore, in presenza di una dichiarazione congiunta a cura del datore di lavoro, del medico, dell’RSPP, del RLS redatta ai sensi dell’art. 2 del DM 16.1.98.


I volontari devono essere comunque informati, formati ed addestrati. Solo i lavorati dipendenti civili o militari potrebbero essere nominati quali membri della squadra antincendio; tuttavia, in questo modo si contravverrebbe all’articolo di legge che richiede al datore di lavoro di verificare la presenza di un numero congruo di persone addestrate per ogni turno di lavoro. Infatti, molti turni sono svolti esclusivamente da volontari. In pratica ne scaturisce che esiste un “escamotage” per poter aggirare il campo d’applicazione del D.Lgs 626, non assimilando i volontari come dipendenti. Va da se che sia gli studenti di scuole ed università di ogni ordine e grado, i coadiuvanti, gli apprendisti, i soci di società e cooperative ecc, sono tutti equiparati ai lavoratori, quindi il cavillo pare a questo punto non aver più valenza. Ed allora forse un po’ di buon senso nell’interpretazione è d’obbligo.

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Nuovo decreto sul lavoro notturno …… a quali attività si applica?
Con il decreto recentemente emanato (DPR 26.11.99 pubblicato in gazzetta n.16 del 21.01.00) in materia di sicurezza ed igiene del lavoro, viene fatto un ulteriore passo in avanti per la tutela delle “categorie deboli” di lavoratori. Si parla questa volta di “lavoro notturno” e vengono stabiliti i criteri generali, gli orari, le misure di prevenzione e protezione individuale e collettiva e la sorveglianza sanitaria richiesti per questa particolare categoria di lavoratori. Sono esclusi i quelli operanti nei settori del trasporto aereo, ferroviario, stradale, marittimo, della navigazione interna, della pesca in mare, delle altre attività in mare, nonché delle attività dei medici in formazione. Per gli operatori della Polizia di stato, delle strutture penitenziarie, della protezione civile, ecc. verrà emanato un decreto specifico entro quattro mesi dell’entrata in vigore del presente.

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Nuovo decreto sul lavoro notturno ….. quante sono le ore di lavoro?
Per lavoro notturno si intende l'attività svolta nel corso di un periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l'intervallo fra la mezzanotte e le cinque del mattino; il lavoratore notturno è colui che durante il periodo notturno svolga, in via non eccezionale, almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero, per un totale di ottanta giorni l’anno (il numero dei giorni è riproporzionato nel caso di part time).

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Nuovo decreto sul lavoro notturno ….. il numero di ore di lavoro è fisso?
Entro centoventi giorni sarà emanato un decreto che stabilirà le attività a rischio particolari o che comportano rilevanti tensioni fisiche o mentali, il cui limite e' di otto ore nel caso di ogni periodo di ventiquattro ore; diversamente, sarà possibile superare le otto ore nel caso in cui i contratti collettivi, anche aziendali, prevedano un orario di lavoro plurisettimanale, per cui necessiti un periodo di riferimento più ampio su cui calcolare come media il suddetto limite. Torna alle domande
Nuovo decreto sul lavoro notturno ….. chi stabilisce l'idoneità del lavoratore?
L’idoneità al lavoro notturno viene stabilita dal Medico Competente, nominato già ai sensi del D.Lgs. 626/94.

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Nuovo decreto sul lavoro notturno ….. quali sono i criteri per stabilire l'idoneità del lavoratore?
L’idoneità al lavoro notturno viene stabilita dal Medico Competente, sulla base di accertamenti preventivi, periodici e in caso di evidenti condizioni di salute incompatibili con il lavoro notturno. I criteri non sono quelli già conosciuti per la 626 ovvero movimentazione carichi, esposizione a rumore, agenti biologici, uso continuativo di videoterminali, ecc. In pratica, un lavoratore che risulti idoneo alla sua mansione in periodo diurno potrebbe non esserlo più se adibito al lavoro notturno; non può essere invece vero il contrario.

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Un indumento di lavoro è considerato dispositivo di protezione individuale?
Considerati alcuni dubbi sorti in merito agli indumenti di lavoro quando sono destinati ad assolvere ad una funzione di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, il Ministero del Lavoro, con la Circolare n. 34 del 29 aprile 1999, richiama l'attenzione sul complesso della pertinente legislazione prevenzionistica, ai fini della sua corretta e puntuale applicazione. In particolare, gli indumenti di lavoro, possono assolvere a varie funzioni:
A) elemento distintivo di appartenenza aziendale, ad esempio uniforme o divise;
B) mera preservazione degli abiti civili dalla ordinaria usura connessa all'espletamento della attività lavorativa:
C) protezione da rischi per la salute e la sicurezza.
In tale ultimo caso, tali indumenti, rientrano tra i dispositivi di sicurezza che assolvono alla funzione di protezione dai rischi, ai sensi dell'art. 40 del Decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626. Rientrano, ad esempio, tra i dispositivi di protezione individuale (DPI) gli indumenti fluorescenti che segnalano la presenza di lavoratori a rischio di investimento, quelli di protezione contro il caldo od il freddo, gli indumenti per evitare il contatto con sostanze nocive, tossiche, corrosive o con agenti biologici, ecc.

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A chi spettano pulizia e manutenzione dell’indumento di lavoro?
L'articolo 43, comma 4 del Decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626. prevede che il datore di lavoro, debba assicurare le condizioni igieniche nonché l'efficienza dei D.P.I. ossia il mantenimento nel tempo delle loro caratteristiche specifiche quali, ad esempio, l'impermeabilita' o la fluorescenza (vedi al riguardo la sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, n. 11139/98 del 9 luglio 1998). Ciò vale ovviamente anche per gli indumenti di lavoro che assumano la caratteristica di dispositivi personali di protezione. A tale scopo è necessario che il datore di lavoro provveda alla loro pulizia stabilendone altresì la periodicità. Detta pulizia può essere effettuata sia direttamente all'interno dell'azienda, sia ricorrendo ad imprese esterne specializzate, la scelta, ricade sotto la responsabilità del datore di lavoro. E’ sufficiente una unica divisa come DPI? La normativa prevede che i DPI debbano essere forniti in numero idoneo e che esistano sufficienti ricambi, in modo da permetterne la sostituzione se usurati e la pulizia, quando necessario. E’ evidente quindi che una unica divisa non può essere considerata sufficiente, nel caso in cui, ad esempio possa essere facilmente contaminata da agenti chimici, cancerogeni, biologici e quindi il lavoratore non abbia a disposizione immediatamente un indumento in sostituzione.

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Pulizia del DPI interna o esterna all’Azienda?
In via generale, qualora gli indumenti sono o possano essere contaminati da agenti chimici, cancerogeni o biologici, nel caso che si provveda alla loro pulizia all'interno dell'azienda, il datore di lavoro dovrà tenere conto dei rischi connessi con la manipolazione ed il trattamento di tali indumenti da parte dei lavoratori addetti e pertanto dovrà applicare le stesse misure di protezione adottate nel processo lavorativo; se viceversa, si sceglie un'impresa esterna, il datore di lavoro, come già ricordato, responsabile delle buone condizioni igieniche e dell'efficienza di tali D.P.I, efficienza che un errata pulizia potrebbe pregiudicare, deve preventivamente assicurarsi che l'impresa stesso abbia requisiti tecnici professionali sufficienti allo scopo e curare che tali indumenti vengano consegnati opportunamente imballati, ed evitare rischi di contaminazione esterna. Il datore di lavoro inoltre, dal momento che é tenuto, ai sensi dell'art. 4 comma 5, lett. n del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, ad assumere gli appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate (uso dei DPI) possono causare rischi per la salute della popolazione, fra cui rientra, a questi fini, il lavoratore esterno, deve provvedere alla puntuale informazione della lavanderia esterna sulla natura dei rischi connessi alla manipolazione degli indumenti contaminati, e sulla loro entita'. Ovviamente l'impresa esterna è responsabile della sicurezza dei propri dipendenti e dovrà pertanto provvedere alla valutazione dei rischi ed alle conseguenti misure di prevenzione e protezione, anche sulla base delle informazioni fornite dal datore di lavoro che ha conferito l'incarico della pulizia degli indumenti. Si evidenzia poi, in particolar modo, la disciplina specifica dettata dagli art. 14 comma 2 e 28 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, nel caso in cui l'agente contaminante sia il piombo o l'amianto. Il datore di lavoro dovrà provvedere affinché gli indumenti di protezione siano riposti in luogo separato da quello destinato agli abiti civili; il lavaggio dovrà essere effettuato in lavanderie appositamente attrezzate, con macchine adibite esclusivamente all'attivita' specifica; il trasporto dovrà essere effettuato in imballaggi chiusi, opportunamente etichettati.

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Il MUD (Modello Unico di Dichiarazione Ambientale), quando?
Il Modello Unico di Dichiarazione Ambientale deve essere presentato da tutte quelle aziende/imprese che “producono” rifiuti di lavorazione e di imballaggio. Per produzione di rifiuti si intende in pratica lo scarto di lavorazione classificato nel D.Lgs 22/97 o l’imballaggio, quindi non necessariamente un rifiuto pericoloso, tossico o nocivo. Per esempio un’impresa edile che esegue una demolizione di parti edili deve indicare sul proprio registro di carico e scarico il quantitativo di materiale trasportato in discarica o comunque smaltito. N.B. Il rifiuto non può mai in nessun caso essere venduto, ma al limite può essere riutilizzato qualora non comporti rischi ambientali. Esempio: l’azienda che lavora materiali lignei non può vendere lo scarto di lavorazione (quindi legno o corteccia) ma può riutilizzarlo per esempio alimentando una centrale termica.

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